la orrore sui pazienti del Don Uva blindato svelato dalle telecamere

Maltrattamenti aggravati e reiterati nel tempo in danno di 25 pazienti psichiatrici, soggetti fragilissimi in residenza presso la struttura ‘Don Uva’ di Foggia. L’operazione ‘New Life’ dei carabinieri del Comando provinciale di Foggia e del Gruppo Tutela della Salute di Napoli, coordinata e diretta dalla Procura di Foggia, ha permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico di 30 dipendenti della struttura accusati, a vario titolo e per differenti profili di responsabilità, dei reati di maltrattamenti aggravati, sequestro di persona, violenza sessuale e favoreggiamento personale. Si tratta di otto infermieri, sedici operatori socio-sanitari e due educatrici professionali dipendenti di Universo Salute, tre operatori sanitari assunti tramite agenzia interinale e un addetto alle pulizia della ditta appaltatrice del servizio. Di queste, sette persone sono state trasferite in carcere, per otto di loro è scattata la misura dei domiciliari. Applicati tredici divieti di dimora con contestuale divieto di avvicinamento alle persone offese e due diveti di dimora. “E’ stata una indagine complessa e gravosa che ha coinvolto sul piano emotivo i militari operanti”, ha precisato il comandante provinciale dei carabinieri di Foggia, col. Michele Miulli. “I fatti contestati sono ancora più gravi perché compiuti da chi aveva l’obbligo di prendersi cura delle vittime”. Accanto a lui, il colonnello Edoardo Campora, comandante Gruppo Tutela Salute di Napoli, che ha collaborato alle attività. A dare la stura all’indagine è stata una intercettazione carpita nell’ambito di un altro procedimento penale: nella conversazione captata, si faceva riferimento a quanto accadeva “con metodica sistematica” all’interno della struttura di via Lucera, tanto da indurre i magistrati della Procura dauna ad aprire un fascicolo di indagine dedicato. Le attività si sono basate soprattutto sulle intercettazioni ambientali e sui filmati delle telecamere piazzate nei corridoi e nelle stanze della sezione femminile della struttura (le immagini video). “Abbiamo operato in un ambiente blindato e inaccessibile”, precisa il procuratore aggiunto Silvio Guarriello, che ha coordinato le indagini, “nel quale le vittime non erano in grado di riferire, nemmeno ai familiari, ciò che subivano sistematicamente. Diversamente tali fatti sarebbero rimasti ignoti”. Un’indagine osteggiata dagli stessi indagati che, temendo di essere controllati, “hanno avviato una vera e propria caccia artgianale a cimici e microcamere”, ha aggiunto il pm. “In alcuni casi sono riusciti a intercettare e neutralizzare i dispositivi, girando delle telecamere o danneggiandole dopo aver cercato su google come fare”, ha spiegato.

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