Professor Cacciari, lei è tra i firmatari di un appello per la pace sottoscritto anche da intellettuali di destra come Pierangelo Buttafuoco e Marcello Veneziani. Una iniziativa che ha fatto storcere diverse bocche a sinistra.
Nessuno ha intenzione di rimuovere le differenze politiche e culturali che esistono e che restano tali, ma che vengono in secondo piano di fronte all’urgenza assoluta di fermare le armi e di cominciare una seria trattativa sulla base di alcuni fermi presupposti. E questi presupposti ovviamente riguardano innanzitutto la Russia. Nessuno discute sull’aggressione e dunque sulla violazione di uno dei pochi principi di diritto internazionale che in una formula o nell’altra tutti riconoscono. Non facciamo le storie su quante volte e da chi sono stati violati questi principi, perché è chiaro che se si comincia in una situazione di questo genere a vedere le colpe dell’uno o dell’altro fin dalla notte dei tempi, non si finisce più. Lasciamo perdere, per carità di patria. Oggi come oggi c’è questa aggressione. Quindi la Russia deve riconoscere l’errore, la colpa, chiamala come vuoi, commessa. Certamente si è trattato di un colossale errore strategico perché è chiaro che la Russia pensava di poter destabilizzare il Governo ucraino con una sorta di blitzkrieg e garantirsi così il Donbass, la Crimea, i canali di sbocco nel Mar Nero, e questa è stata una incredibile sottovalutazione dell’avversario, della posizione della Nato e via elencando. C’è la Russia che per colpa errore deve riconoscere il crimine che sul piano del diritto internazionale ha commesso, dirsi immediatamente disposta anche ad una unilaterale cessazione del fuoco, e dall’altra parte l’Europa, perché non vedo chi altro, dovrebbe finalmente svolgere una parte attiva, cioè quella di garantire che contestualmente a questo atto russo si aprano delle serie trattative sulle cose davvero in discussione. E che non sono discutibili perché sono dati di fatto…
Vale a dire?
La guerra civile in Donbass, la guerra civile in tutte le regioni russofone dell’Ucraina che sono state attaccate dall’esercito ucraino. Stiamo parlando di atti di aperta ostilità. Cosa succederebbe in Alto Adige se l’Italia dichiarasse domani il bando della lingua tedesca in quella regione? Ripeto: atti di aperta ostilità nei confronti della minoranza russofona. Non si tratta di subire o avallare il referendum. Tutti sanno benissimo che un referendum anche con tutte le sovraintendenze del mondo, Onu o chi altro, darebbe un certo risultato nel Donbass come in Crimea. Il risultato è comunque ovvio, visto che si tratta di regioni a stragrande maggioranza russofona. Ignorare i referendum non significa disconoscere il vulnus di cui sopra. Non si evita la guerra civile con atti di manifesta ostilità nei confronti di una minoranza. Si cerca di trovare un nuovo assetto anche statuale che ridefinisca l’idea stessa di nazione, di governo e, per l’appunto, di Stato. E qui entra in gioco l’Europa.
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Cosa dovrebbe fare l’Europa?
Dovrebbe manifestare un impegno ad affrontare seriamente quelle questioni. Tenendo peraltro presente che la Russia di fatto da anni e anni dice di ritenere che le modalità con cui avviene l’allargamento della Nato nei Paesi dell’Est europeo siano una minaccia nei suoi confronti. L’Europa deve rassicurare che non c’è alcuna minaccia nei confronti della Russia. E arrivare a dei trattati veri e propri, non come i gentlemen agreement che non sono contati un fico secco, per usare un eufemismo, dopo la caduta del Muro di Berlino. Bisogna che l’Europa, si faccia promotrice di trattati seri di pace tra Stati Uniti, potenze occidentali e Russia, risolvendo quelle due tre questioni che davvero interessano vitalmente la Russia, come le regioni del Donbass, la Crimea, che sono facilmente risolvibili e non necessariamente con l’annessione alla Russia ma con trattati garantiti dalle Nazioni Unite e dall’Europa, che sanciscano che quelle regioni hanno e godono di uno statuto speciale, esattamente come in altri Paesi del mondo regioni che sono etnicamente autonome godono di statuti speciali. Giusto, chiaro, limpido, naturale. Se c’è poi c’è il partito del “W la Nato comunque”, “facciamo la guerra comunque”, o i deficienti che vaneggiano che l’attacco della Russia all’Ucraina prefigurasse uno sbarco dei cosacchi alle fontane di San Pietro, se ci sono dei cogl***i, mi si passi il francesismo, sulla faccia della terra, beh ci sono sempre stati e pace all’anima loro.
Qual è l’obiettivo dell’appello che ha firmato?
Il documento rientra in un discorso di buon senso e ha un obiettivo: raggiungere non dico la pace, che è una parola grande, ma almeno il cessate il fuoco. L’Unione Europea deve dire alla Russia di fermare le ostilità e di non sparare più da domani e, contestualmente, deve impegnarsi nell’apertura di immediate trattative di pace tra tutti i soggetti interessati sulla base di alcuni principi che in quel breve documento sono richiamati. E sono principi fattuali: quelli riconosciuti nel trattato di Minsk, che è stato totalmente disatteso.
“Dopo 80 anni ancora siamo costretti a vedere i morti. Ecco perché anche quell’articolo 11 della Costituzione italiana, per ripudiare la guerra � oggi in Ucraina, ma anche nel resto del mondo, grandi e piccole che siano, finanche nelle stesse famiglie � è così attuale”. A sostenerlo non è un “cosacco” ma Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Matteo Zuppi. Anche lui è un filo Putin?
Sono le banalità della verità. Non le ha dette all’inizio anche Papa Francesco, che pur di fronte, ribadisco il termine, al crimine perpetrato da Putin con l’invasione dell’Ucraina, ha chiaramente detto che la Russia si sentiva strangolata. Il nome in codice dell’ultima manovra Nato in Polonia era “Anaconda”. Vedi un po’ te.
Sempre il cardinal Zuppi afferma: “E la seconda parte dell’articolo, a cui tanto lavorò Dossetti, è ancora più importante: meglio perdere un pezzo di sovranità e risolvere i conflitti. Invece di prendere le armi, discutiamo. Qualcuno faccia davvero da arbitro dunque, per far sì che il fratello non ammazzi il fratello”.
Non si tratta di perdere assolutamente niente. Se la si pone in questi termini, la questione non è risolvibile. La si deve porre nei termini che ho appena detto, realistici e possibili. Soltanto un’azione autonoma europea può andare in quella direzione. L’Europa ha una politica estera del tutto subalterna. E quando non è subalterna è pure peggio. Vedi in Libia, vedi in Tunisia.
La convince l’approccio della sinistra al tema della guerra?
Non c’è nessun approccio. C’è una subalternità totale. Non hanno fatto assolutamente nulla. Non hanno esposto un’idea, non hanno indicato una strategia. Si sono limitati a condannare, come qualsiasi persona di buon senso fa e come dovrebbero ormai fare pure i russi visto i danni che anche a loro provoca questa situazione, l’aggressione. Punto. Dopodiché si sono sdraiati sulle posizioni americane e nient’altro.
Sul tema della guerra si è consolidato in Italia una sorta di pensiero unico?
Sì, come era già prima per il Covid. La crescita di emergenze non governate e che diventa fisiologica, conduce per forza, in base alla paura che suscitano, a una omologazione. Come avviene, appunto, in tempo di guerra. In tempo di guerra non c’è soltanto la censura che funziona. C’è una omologazione nei cervelli. Perché è chiaro che i margini di un’autonomia, di un’azione critica, di un pensiero critico, tendono necessariamente a scomparire. Laddove tutto si semplifica in base alla logica amico nemico, capisci bene…Che poi il nemico sia poi il virus o che il nemico sia la Russia, se tutto si semplifica sulla base della logica amico nemico, l’omologazione è inevitabile.
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