Alle 23 e 14 del 27 luglio '93 un’autobomba salta in aria davanti al Padiglione d'arte contemporanea e uccide 5 persone: è la più misteriosa delle stragi continentali di Cosa nostra. Trent’anni dopo non sappiamo chi ha imbottito quella macchina di esplosivo e neanche chi l' ha guidata fino al luogo della strage. Non sappiamo neanche chi decise di farla esplodere davanti al Pac e per quale motivo. Sappiamo solo che qualcuno ha visto una donna bionda allontanarsi dal veicolo poco prima dell' esplosione. E in tutta la sua storia Cosa nostra non ha mai utilizzato una donna per compiere omicidi o attentati. Anomalie, buchi neri, piste dimenticate e ipotesi sui mandanti a volto coperto: ecco tutte le domande ancora senza risposta sulla bomba di Milano. La macchina da rubare la trovarono in via Baldinucci, una strada che divide Dergano dalla Bovisa, due quartieri a nord di Milano. Ma c’era un problema: l’auto era nei pressi di una caserma dei Carabinieri. O forse era un commissariato di Polizia? Gaspare Spatuzza non se lo ricorda con esattezza, come non si ricorda con esattezza molte altre cose relative alla strage di via Palestro. Quello che Spatuzza rammenta bene è di aver rimproverato il suo accompagnatore: Marcello Tutino, un siciliano che abitava da anni a Milano e che quindi conosceva bene le strade della città. Non abbastanza, evidentemente. “Di tanti posti che ci sono mi porti a rubare la macchina vicino ad un commissariato, una caserma?”, sostiene di avergli urlato Spatuzza poco dopo aver forzato la portiera di quella Fiat Uno grigio scuro, targata MI7P2498.Un’estate a Milano È il tardo pomeriggio del 23 luglio 1993, a Milano fa caldo e il sole non è ancora tramontato. In città si sono appena celebrati i funerali di Gabriele Cagliari, il presidente dell’Eni coinvolto in Tangentopoli, che si è suicidato nel carcere di San Vittore. Sono state esequie ad alta tensione: mentre davanti alla basilica di San Babila venivano sistemate le corone di fiori, un colpo di pistola sveglia il settecentesco palazzo Belgioioso: a neanche cinquecento metri di distanza Raul Gardini, il rampante imprenditore noto in tutto il mondo per i successi del Moro di Venezia alla coppa America di vela, si è sparato in testa. La notizia arriva mentre i funerali sono in corso: dicono che Gardini fosse atteso quella stessa mattina al Palazzo di giustizia, per essere interrogato dal pm Antonio Di Pietro. La gente parla di questo quando il feretro di Cagliari viene portato fuori dalla chiesa: a salutarlo applausi misti ai fischi. “Ladri, ladri. Vergognatevi”, urla la gente ai politici presenti. Nessuno può ancora saperlo, ma in quel momento gli uomini di Cosa nostra sono già in azione. Non a Palermo e neanche in Sicilia, ma lì al Nord, nella città degli affari, della finanza e delle tangenti. Quella Fiat Uno rubata in via Baldinucci ricomparirà quattro giorni dopo in via Palestro, davanti al Padiglione d’arte contemporanea, con circa cento chili di esplosivo nel bagagliaio. Salterà in aria 14 minuti dopo le 23 e ucciderà cinque persone. Quello che è successo in quei quattro giorni a quella macchina è ancora oggi un mistero irrisolto della strage di via Palestro, la più misteriosa e indecifrabile tra le bombe che nel 1993 fanno tremare l’Italia. Trent’anni dopo non sappiamo chi ha imbottito quella Fiat Uno di esplosivo e neanche chi l’ha guidata fino al luogo della strage. Non sappiamo neanche chi decise di farla esplodere davanti al Padiglione d’arte contemporanea e per quale motivo. Sappiamo solo che qualcuno ha visto una donna bionda allontanarsi dal veicolo poco prima dell’esplosione. In tutta la sua storia Cosa nostra non ha mai utilizzato una donna per compiere omicidi o attentati.