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La spina nel fianco
Salario minimo, gli effetti positivi dal Brasile allUngheria
Nella mente di Giorgia Meloni il salario minimo è un cavallo di Troia per ridurre i diritti dei lavoratori. La premier lo ha ribadito anche dal palco del congresso della Cgil: “Temo che la fissazione per legge diventi non una tutela aggiuntiva rispetto alla contrattazione collettiva ma sostitutiva e questo finirebbe per fare un altro grande favore alle grandi concentrazioni economiche che hanno come obiettivo rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori”. Si tratta della storica posizione di Confindustria (che peraltro fino a un paio di anni fa era anche quella del sindacato di Maurizio Landini) opportunamente rivista per tirare in ballo lo spauracchio delle “grandi concentrazioni economiche”, le stesse che secondo il centrodestra farebbero man bassa delle spiagge italiane se le mettessimo all’asta. Teoria economica e analisi empiriche dicono però che introdurre un minimo legale cosa che hanno fatto 22 Stati europei su 27 e altri 140 circa nel mondo porta con sé molti benefici: riduzione della povertà lavorativa, della disuguaglianza salariale e del divario di genere, nonché aumento della produttività. Alcuni studi mostrano una redistribuzione dai consumatori che possono permetterselo ai lavoratori a basso salario. Va da sé che, da solo, il salario minimo non è una panacea contro ogni forma di lavoro povero: va affiancato da strumenti di sostegno per chi lavora troppo poche ore (o pochi mesi all’anno) per avere un reddito adeguato e da una efficace vigilanza sul rispetto dei contratti. Gran Bretagna: aumento della produttività Uno studio di Rebecca Riley and Chiara Rosazza Bondibene per il National institute of economic and social research inglese ha mostrato che l’introduzione del salario minimo (1999) ha aumentato la produttività delle aziende, che hanno risposto all’aumento del costo del lavoro con efficientamenti organizzativi e maggiore formazione. Non c’è stata invece riduzione della forza lavoro o sostituzione dei lavoratori con maggiore automazione. Conclusioni in linea con quelle di ricerche precedenti come quella di Marian Rizov e Richard Croucher (2012) che ha mostrato un incremento della produttività in tutti i settori a basso salario del Regno Unito e in particolare nelle imprese più grandi. Francia: impatto positivo sugli accordi collettivi In Francia la disuguaglianza salariale è stata contenuta grazie a un buon salario minimo legale affiancato da minimi negoziati a livello centrale o di settore. Un paper del 2016 di Erwan Gautier, Denis Fougère e Sébastien Roux della Banque de France ha trovato che il salario minimo non “spiazza” la contrattazione, anzi ha avuto un effetto positivo e significativo sulla frequenza degli accordi collettivi su aumenti salariali a livello di settore e che un aumento di un punto percentuale del salario minimo reale aumenta di 2 3 punti la probabilità di osservare un nuovo accordo salariale in una certa industria. Se un settore ha almeno un minimo contrattuale (ce ne sono diversi a seconda di anzianità, esperienza, formazione…) sotto il minimo legale, risulta molto più probabile che si arrivi alla firma di un nuovo accordo collettivo.
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Nella mente di Giorgia Meloni il salario minimo è un cavallo di Troia per ridurre i diritti dei lavoratori. La premier lo ha ribadito anche dal palco del congresso della Cgil: “Temo che la fissazione per legge diventi non una tutela aggiuntiva rispetto alla contrattazione collettiva ma sostitutiva e questo finirebbe per fare un altro grande favore alle grandi concentrazioni economiche che hanno come obiettivo rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori”. Si tratta della storica posizione di Confindustria (che peraltro fino a un paio di anni fa era anche quella del sindacato di Maurizio Landini) opportunamente rivista per tirare in ballo lo spauracchio delle “grandi concentrazioni economiche”, le stesse che secondo il centrodestra farebbero man bassa delle spiagge italiane se le mettessimo all’asta. Teoria economica e analisi empiriche dicono però che introdurre un minimo legale cosa che hanno fatto 22 Stati europei su 27 e altri 140 circa nel mondo porta con sé molti benefici: riduzione della povertà lavorativa, della disuguaglianza salariale e del divario di genere, nonché aumento della produttività. Alcuni studi mostrano una redistribuzione dai consumatori che possono permetterselo ai lavoratori a basso salario. Va da sé che, da solo, il salario minimo non è una panacea contro ogni forma di lavoro povero: va affiancato da strumenti di sostegno per chi lavora troppo poche ore (o pochi mesi all’anno) per avere un reddito adeguato e da una efficace vigilanza sul rispetto dei contratti. Gran Bretagna: aumento della produttività Uno studio di Rebecca Riley and Chiara Rosazza Bondibene per il National institute of economic and social research inglese ha mostrato che l’introduzione del salario minimo (1999) ha aumentato la produttività delle aziende, che hanno risposto all’aumento del costo del lavoro con efficientamenti organizzativi e maggiore formazione. Non c’è stata invece riduzione della forza lavoro o sostituzione dei lavoratori con maggiore automazione. Conclusioni in linea con quelle di ricerche precedenti come quella di Marian Rizov e Richard Croucher (2012) che ha mostrato un incremento della produttività in tutti i settori a basso salario del Regno Unito e in particolare nelle imprese più grandi. Francia: impatto positivo sugli accordi collettivi In Francia la disuguaglianza salariale è stata contenuta grazie a un buon salario minimo legale affiancato da minimi negoziati a livello centrale o di settore. Un paper del 2016 di Erwan Gautier, Denis Fougère e Sébastien Roux della Banque de France ha trovato che il salario minimo non “spiazza” la contrattazione, anzi ha avuto un effetto positivo e significativo sulla frequenza degli accordi collettivi su aumenti salariali a livello di settore e che un aumento di un punto percentuale del salario minimo reale aumenta di 2 3 punti la probabilità di osservare un nuovo accordo salariale in una certa industria. Se un settore ha almeno un minimo contrattuale (ce ne sono diversi a seconda di anzianità, esperienza, formazione…) sotto il minimo legale, risulta molto più probabile che si arrivi alla firma di un nuovo accordo collettivo.